A single man
di Tom Ford
A single man (Tom Ford, 2009) è il primo film del grande stilista che alle sue spalle aveva già imprese importanti, soprattutto nel campo della moda, come quelle di aver rilanciato Gucci e Yves Saint Laurent. La pellicola è tratta dal libro di Cristopher Isherwood, Un uomo solo (A single man), ma Ford apporta dei cambiamenti e caratterizza la trasposizione con canoni estetici ben precisi. Si potrebbe affermare con tranquillità che ogni frame del film è un quadro elegante quanto potente. Alla base c’è probabilmente il concetto di fotogenia, attorno al quale grandi autori del passato come Epstein e Delluc avevano costruito la loro riflessione teorica e la loro produzione cinematografica (in La caduta della casa Usher, 1928, di Jean Epstein il concetto di fotogenia trova la sua più concreta e perfetta applicazione). La fotogenia, arte nuova che nasce dall’intreccio tra cinepresa e realtà e che si configura come il tentativo di catturare il trasformarsi delle superfici del reale quando attraversate dallo sguardo della macchina, si delinea nel pensiero epsteiniano come uno strumento conoscitivo capace di rivelare tratti inediti del reale potenziando le capacità percettive usuali. Ad assumere un ruolo di primo piano è la superficie, che può essere quella di un oggetto o che può essere un paesaggio, un corpo, un volto. Proprio per il suo soffermarsi sulle superfici, sui corpi, sui dettagli dei volti, su “paesaggi” artificiali e affascinanti, Tom Ford sembra attingere a piene mani da tutte le ricerche, teoriche e pratiche, epsteiniane ma non solo.
Ma cominciamo con l’analisi del film, che inizia con un corpo nudo completamente immerso in acqua, un’acqua scura che lo sta trascinando nei suoi abissi. E poi una scena di morte: il corpo di Jim esanime disteso sulla neve accanto a una macchina semi-distrutta, causa principale della sua prematura scomparsa. Verso di lui cammina George (Colin Firth), che indossa un elegante abito: si avvicina e lo bacia sulle labbra. È una scena potentissima, intreccio di eros e thanatos, un matrimonio all’inverso che non sancisce un’unione ma un addio definitivo e ineluttabile. Subito dopo George si sveglia nel suo letto, ma sul suo viso vediamo tracce del sangue di Jim: può un sogno, una fantasia, essere così vero e intenso da pervadere a tal punto la realtà? George si alza e inizia la sua routine, una quotidianità che ha perso il senso che aveva momentaneamente acquisito nel momento in cui Jim era entrato nella sua vita. E nel suo monologo extradiegetico George ci informa subito che prima o poi “lei arriverà” e che, forse, lui sta attendendo il suo arrivo: George brama la morte perché niente lo lega più alla terra. Ford ci restituisce la depressione, la cupezza interiore del protagonista attraverso colori spenti, colori freddi che, però, saltuariamente si “accenderanno” durante la giornata di George. Nel momento in cui George rivede Jim per un attimo nel suo giardino, infatti, il colore si satura, restituendo l’immagine di un passato “caldo”, pieno d’amore. Ancor più spenti si fanno i colori e le tonalità nel momento in cui George osserva la vita dei suoi vicini di casa: un’esistenza che disprezza, piatta e inconcepibile per il suo modo di pensare. Successivamente il personaggio di Firth risponde al telefono: è Charley (Julianne Moore), sua amica intima e sua eterna innamorata. Charley lo invita a cena, ma nella mente di George scatta il ricordo della triste serata in cui gli fu annunciata per telefono la morte di Jim e lui, disperato, si precipitò tra le braccia di Charley. Un ricordo che viene messo in scena in modo assai particolare: dopo l’annuncio della morte dell’amato, George corre sotto la pioggia a casa di Charley, batte i pugni disperatamente contro la sua porta, singhiozzando e urlando per il dolore. In questa scena, però, lo spettatore può udire un solo suono: quello della pioggia che cade al suolo, immagine sonora di uno stato d’animo. George ritorna con la mente al presente, accettando l’invito di Charley, ma subito dopo ci accorgiamo che il protagonista ha l’intenzione di togliersi la vita. Un passaggio fondamentale del film che, però, non è presente nel libro di Isherwood.
George si reca al college e lo vediamo camminare nella direzione opposta rispetto alla folla di studenti: un’altra immagine molto simbolica che vuole evidenziare l’estraneità di George dal mondo che lo circonda e che lui fatica a comprendere. La grigia vita del protagonista ritrova colori saturi e vivaci sul sorriso della sua segretaria e subito dopo sui corpi nudi di due giovani tennisti. Lo sguardo di George, e di conseguenza la macchina da presa, si sofferma sul petto, sulle “umane membra” e attraverso il ralenti celebra la loro bellezza.
Qui torna in primo piano il pensiero di Epstein secondo il quale un’immagine rallentata riesce a restituire tutte le sfumature della realtà. In uno dei suoi volumi teorici (dal titolo Le Tribunal de l’adoration), inoltre, Epstein sembra affermare una sorta di superiorità fotogenica del corpo maschile rispetto a quello femminile. In questo trattato il corpo maschile diventa oggetto privilegiato di un’accurata operazione: viene esplorato in tutte le sue parti, come in una serie di primi e primissimi piani capaci di cogliere in esso “i segni del mondo vegetale, del paesaggio, dell’architettura, in un equivalersi di micro e macrocosmo che si muove nella dimensione del sacro e conduce a una conoscenza che sgorga dalla matericità della pelle” 1.
Come nel libro, il personaggio di George muove continuamente critiche all’istituzione familiare così come essa si è plasmata nella società capitalista:
Guardati intorno, molti di questi studenti aspirano solo al posto fisso, a crescere figli che ingurgitino Coca Cola davanti al televisore che non appena parlino cantino il jingle delle pubblicità e spacchino tutto col martello!
Il mondo in cui George vive è un mondo senza sentimenti, o che comunque sta per divenire tale, un mondo in cui lui stesso afferma di non voler vivere.
Nella giornata grigia di George tutto tornerà ad illuminarsi grazie a Kenny, un suo studente, che sembra manifestare un forte interesse per lui. Quando George vede Kenny in classe il colore torna a saturarsi per un attimo e successivamente, durante il loro dialogo post-lezione, assistiamo a una prima sequenza che presenta totalmente colori puri e vivaci. Queste variazioni estetiche hanno grande importanza anche sul piano narrativo: la grigia routine di George presenta dei brevi momenti capaci di sorprenderlo, di trasmettergli gioia, di fargli ritrovare quell’amore per la vita che lui sembra ormai aver smarrito.
A un’ennesima variazione estetica assistiamo nel momento in cui George, guardando una vecchia foto di Jim in bianco e nero, ricorda (o forse rivive) una conversazione avuta con lui. È l’unica scena in bianco e nero in tutto il film: forse per riprendere le caratteristiche delle foto che fa scaturire il ricordo, o forse per mettere in evidenza un passato ormai lontano, sbiadito, alterato da una memoria infedele.
Un altro momento significativo del film è l’incontro con il ragazzo spagnolo, che avviene subito dopo una breve scena in cui George grazie a sensazioni olfattive rivive determinate sensazioni avute con Jim (in questa scena il protagonista stringe a sé un cane, animale che Jim amava e che teneva nella loro casa). Anche in questa scena il colore si libera dai grigi per recuperare la sua purezza e il cielo si tinge completamente di rosa.
Mentre la giornata giunge al termine, e dopo vari tentativi di suicidio falliti, notiamo come, con il passare dei minuti, i momenti degni di esseri vissuti, quelli che attribuiscono un senso alla vita e che Ford esalta con l’uso di colori saturi, siano sempre più numerosi. Tutta le sequenze in cui George è in compagnia di Charley riflettono (esteticamente e narrativamente) grande vivacità, grande gioia (nonostante lo scontro verbale che però si esaurisce in qualche secondo). Charley è particolarmente morbosa nei confronti dell’amico (amato), ma i due nel bene e nel male sono sempre riusciti a supportarsi a vicenda, facendosi forza e compagnia nei momenti difficili.
Ma il vero turning point nella giornata (e nella vita) di George, si ha appena quest’ultimo lascia la casa di Charley e si reca nel locale dove aveva conosciuto Jim anni prima. Qui incontrerà Kenny, che è andato lì proprio con la speranza di trovarlo, e il mondo si “colorerà” (quasi) definitivamente.
Una delle scene più importanti è quella in cui Kenny si spoglia davanti a George, mostrandogli interamente il suo corpo. Qui ritorna il concetto di fotogenia, anche se la macchina da presa mantiene sempre una certa distanza dal corpo di Kenny, in quanto incarna lo sguardo non-voyeurista di George. Quest’ultimo, infatti, rimane impietrito, sospeso tra il desiderio di avvicinarsi a quel corpo ma con la coscienza che è ormai troppo tardi. L’ambigua serata tra i due rimane all’insegna di un’attrazione platonica che non sfocia assolutamente nel rapporto fisico. Ma proprio grazie a Kenny, George ritrova il senso della vita e comprende che tutto “è esattamente come deve essere”. Le porte si chiudono come un sipario separando George da Kenny che dorme: è la fine di uno spettacolo (la stessa “chiusura” si era vista nel momento in cui Charley aveva salutato George). L’immagine iniziale del corpo che pian piano annegava è sostituita da quella dello stesso corpo che inizia a riemergere lentamente, in un’acqua che non è più scura, ma piena di raggi di luce. Il protagonista rinuncia al suicidio e proprio nel momento in cui ha ritrovato la gioia della vita, muore dolcemente, colpito da un attacco di cuore. George si accascia a terra, i colori si spengono per l’ultima volta. Vediamo Jim che si china su di lui, dandogli un ultimo bacio: quello della morte. È il matrimonio che sancisce di nuovo la loro unione: i due si ritroveranno in un mondo trascendentale.
1 La citazione e la maggior parte dei concetti sulla fotogenia sono ripresi dal saggio di Chiara Tognolotti "La caduta della casa Usher. Fotogenie, superfici e metamorfosi".